Ho visto due moscerini della frutta fornicare

Ho visto due moscerini della frutta fornicare e tutto quello che sono riuscita a pensare è: qui fornicano tutti tranne me.
Che poi non è questo grand’evento il fornicamento, pare, questa cosa rara e speciale e difficile da attuare, dal momento che riesce a farlo anche un moscerino della frutta!
Intendo proprio tutta la trafila: trovare un compagno giusto, inseguirlo come un cagnetto scodinzolante e darci sotto una volta raggiunto, e in tutto questo, continuare immancabilmente a essere un moscerino della frutta che rompe i maroni alla frutta e alla gente che la compra. Per esempio a me li hanno rotti i maroni, tantissimo li hanno rotti, dal momento che hanno sciamato dentro fuori e intorno alla cesta della frutta, al punto da costringermi a spostare le mele nel balcone, dove sono maturate troppo presto e tanti saluti al risotto alle mele che volevo cucinare oggi! E che è anche il mio risotto preferito… così, tanto per dire.
E in tutto questo hanno avuto “il tempo” di fornicare allegramente, “il tempo”! Loro hanno trovarto “il tempo”, voglio dire quanto vive un moscerino della frutta? 30 secondi? Eppure lui fornicava e io no e sì che io ho avuto trant’anni per farlo, che sono giusto quel tantinello in più di 30 secondi, ma no, no, no, troppo complicato. La cosa più naturale del mondo è per me la più complicata.

Ecco quindi che un’ epifania mi si è disvelata: non appartengo all’ordine naturale delle cose, vi sono fuori, la mia fatica a inserirmi nella vita come si deve deriva da questa empasse.
Quando prende corpo un pensiero con una qualche sostanza e con una certa pretesa di validità, la nostra mente si mette in moto automaticamente e va a scovare immagini o eventi passati che si legano in quel processo deduttivo atto ad avvalorare e confermare l’epifanica ipotesi. Il tutto mentre i due svergognati moscerini della frutta fornicano davanti ai vostri occhi.
Ora non sto qui  a elencare tutti i momenti della mia esistenza che hanno avvolarato questa la tesi. Basterebbe pensare alla mia difficoltà a incastrarmi in un sistema rigido come quello universitario; al mio sentirmi fuori luogo fin da bambina in ogni ambiente socialmente corretto in cui mi sono ritrovata nei vari momenti della mia crescita; ai pochi amici che sono riuscita ad avere dalle mie parti e quelli lontani che comunque alla fine sono scappati via come avessero una fiocina nel culo; alla mia incapacità di innamorarmi di qualcuno che sia di queste parti; a tutte le situazioni complicate che mi sono creata e che mi hanno incasinato sempre più mente, idee e vita eccetera, eccetera, eccetera.
Neanche ripercorrere la mia vita in tutta la sua ampiezza è necessario, giacchè basta riportare un paio di situazioni risalenti a non più tardi di ventiquatt’ore fa, per averne conferma.

Ho passato la giornata fuori alla ricerca di cose da comprare e di cose da risovere prima della mia partenza per Roma, giacchè ormai mancano giusto giusto sette giorni e sto in alto mare, come da copione.
Nella fattispecie ero in un negozio di abbigliameto, sapete quelli trendy di scarpe, borse e gingilli vari, in attesa che mia madre ucisse dal camerino dopo esserci stata io stessa, e c’era un tale cicaleccio intorno a me ed ero così annoiata che ho tirato fuori un libro. Anche se tiro ovunque fuori libri non mi era mai capitato di doverlo fare in un negozio, ma non me ne sono neanche accorta in verità, è stato una specie di gesto meccanico e già questo basterebbe a fare di me una outsider delle cose del mondo, che tirar fuori così un libro, in un negozio pieno zeppo di gente, mentre sosto davanti al camerino di mia madre, con una canotta  merlettata e un paio di pantaloni a stampa mimetica sotto braccio, non è normale neanche per finta. Soprattutto perchè il libro tirato fuori era “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque, uno dei libri più meravigliosi che siano mai stati scritti, uno dei classici moderni più importanti della storia dell’uomo, una delle cronache più strazianti della guerra, tutto quello che volete, ma di certo non  ti aspetti che ti venga meccanicamente voglia di tirarlo fuori nel negoziuccio pieno di scene da “arrivano i saldi”.
Io non c’ho pensato, mi sono messa a leggere e basta. Neanche ho colto l’inquieto silenzio che mi si è assiepato attorno, nella mia arroganza me ne sono semplicemente beata come fosse cosa dovuta.
Dopo qualche paragrafo alzo lo sguardo e vedo una mezza luna di donne dalle età più disparate, intenta a fissami con bovina sorpresa, una cercava addirittura di spiare il titolo del libro che stavo leggendo, forse gelosa del portento di letteratura che mi teneva avvinghiata così alle pagine, per poter così leggerlo anche lei. Forse.
Il punto comunque, non è questo. Il punto è quello che stavo leggendo in quel momento e che alla visione del fornicamento dei moscerini mi è tornato alla mente.

Il protagonista, ovvero lo scrittore stesso, racconta in forma diaristica gli orrori della vita di trincea durante la prima guerra mondiale che egli stesso ha provato sulla sua pelle. A un certo punto il protagonista viene mandato in licenza per qualche giorno, ma piuttosto che esserne felice si sente fuori luogo, legato più a quell’ambiente di morte e sciagura, di dolore fisico a e annichilimento totale dell’esistenza, piuttosto che alla vita normale: pur desiderando ardentemente la vita, sa di non poterne più fare parte:
“Quando li vedo nelle loro stanze, nei loro uffici, nelle loro prefessioni, mi sento irresistibilmente attratto, vorrei essere anch’io uno di loro, dimenticare la guerra: ma nel contempo qualcosa mi respinge indietro, il loro mondo mi sembra così agusto, mi pare impossibile che possa riempire una vita; mi sembra che si dovrebbe buttar sossopra ogni cosa. Come mai tutto ciò può esistere, mentre laggiù le schegge sibilano sui camminamenti e i razzi solcano il cielo, e i feriti sono portati via sui teli da tenda e i compagni si rannicchiano nelle trincee! Gli uomini qui sono diversi, io non li posso capire, li invidio e insieme li disprezzo”.

Escludendo l’inescludibile dato di fatto – ovvero che nel suo caso non solo è un pensiero legittimo, ma sacrosanto, e vero oggi più di allora, perchè continuiamo a farci i cazzi nostri mentre a un tiro di scoppio da noi vengono fatti saltare in aria teste di bambini e che il nostro non è il miglior mondo possibile, ma solo l’unico mondo possibile e qui la chiudo-, ecco quello che sono io e che penso io, esattamente, parola per parola a parte le parole sulla guerra che poi sono quelle che rendono quello stato, quell’uomo, quella vita, quel pensiero terribile, tanto vero e giusto nel suo caso, quanto terribile e sbagliato, invece, nel mio caso.

Morale della favola: non spiate i moscerini della frutta mentre fornicano, il mondo può rivoltarvisi addosso e inghiottirvi per punizione.

Benvenuti nell’istante inesistente

La ventola del mio pc gracchia affannata, la pioggia cigola lì fuori, il caffè americano spande aromi vischiosi e io avrei dovuto essere su un autobus direzione “Fottuta Università“, quindi questo istante non doveva esistere. Invece esiste, perchè non ci sono andata all’Università.
Lo so che visti i miei precedenti a questo punto della lettura, una buona percentuale di persone potrebbe pensare “lurida codarda blasfema” e col giusto credito anche, ma stavolta alzo una mano a mia discolpa e non è che io mi discolpi spesso, quindi è un gesto che ha un suo perchè.
In pratica mi serve un un numero – il reddito del 2011 perchè mi calcolino la mora e la seconda rata – e non posso averlo, quindi devo aspettare che mia madre se lo procuri e spero vi riesca presto, sennò so’ cazzi cavoli amari. Nonostante ciò mi ero svegliata vestita lavata pettinata e inghiottito il nodo di ferro che mi si pianta in gola ogni volta che devo salire all’Università, ed ero pronta ad andarci lo stesso, ma siccome diluvia che dio la manda e siccome mia madre dormiva e non potevo giungere alla fermata senza passaggio e poi comunque sarei dovuta risalire per tutto il resto una volta avuto quel numero e sarebbero stati altri dieci euro di biglietto dell’autobus… insomma sì, sono una codarda.
Non ce la farò mai.
Ma questo non vuol dire che non ci proverò. Quindi nell’attesa/speranza che mia madre mi procuri quel numeretto in fretta, come scocca ora umana mi attacco al telefono e alla segreteria dell’Università e cerco di capire quali sono i “cento passi” che dovrò fare una volta arrivata là per risolvere questo casino, vedi mai che sapere esattamente le mosse da fare e dove andare, non mi faccia brancolare una volta lì, come una sperdura sparuta ragazza spaurita.

Un altro istante che non sarebbe dovuto esistere, è quello di ieri sera con Odisseo.
Non che sia successo chissacchè, in realtà si è fatta una tempesta in un bicchiere d’acqua e proprio per questo mi brucia e duole ancora di più. Intendiamoci, le cose tra di noi non vanno malaccio in questi giorni, abbiamo ripreso a sentirci con continuità e lui mi cerca e lui mi chiama e lui mi racconta tutto e di più della sua vita. Inoltre nei momenti di maggior serenità, quando siamo presi dalla conversazione e si dimentica che ha deciso che deve controllarsi e rallentare le cose tra noi, si lascia andare anche a piccoli flirt e tenerezze, niente rispetto al fiume in piena che era prima, ma è molto bello lo stesso e mi rende felice.
Ieri pomeriggio avevamo addirittura parlato per un’ora e mezzo senza accorgercene come i vecchi tempi, per questo ieri sera non volevo lasciarlo fino all’indomani con una stupida, piccola discussione appesa, e l’ho richiamato solo per dargli la buonanotte come si deve. Ma lui non ha sentito ragioni.
Non abbiamo litigato o che, ci sentiremo oggi come niente fosse, ma il fatto che abbia voluto imperterrito mantenere questa posizione, puntare i piedi, egoisticamente non accettare neanche il mio proposito di lasciarci serenamente, mi ha fatto un male cane, soprattutto dal momento che sapeva quanto oggi sarebbe stato un giorno duro per me (ho deciso solo stamane di non andare all’Università) e per una volta poteva quantomeno avere l’accortezza non dico di desistere dalla sua posizione, ma di non puntare i piedi e consentire che il mio intento di non lasciarci con recriminazioni aperte, andasse a buon fine.
Ora sto morendo dalla voglia di aggiornarlo e dirgli che non ci sono andata all’Università e sentirlo prima che vada a lavorare, ma non lo chiamo, aspetto che sia lui a fare il primo passo.

Alla faccia dell’istante che non doveva esistere, è dalle 5.30 circa di questa mattina che ho aperto il post (il primo istante al mondo di tre ore e mezza) e nel frattempo mi sono sparata una tazzona di caffè americano e un’altra di caffelatte, ho scritto mezza pagina di un racconto, ho risposto a una mail e scritta un’altra a una mia amica e considerato che sono quasi le 9.00 mi pare il caso di chiuderlo questo istante inesistente. E attaccarmi al telefono con Madama Università a fare le cose che vanno fatte per poi fare le cose che non vanno fatte, come scrivere finchè ogni senso, idea e impulso non venga cancellato del tutto dal mio cervello e trasferito su una pagina bianca.

Scendere in guerra armata di Moleskine, Capossela e un libro

Stavo pensando a cose serie, quindi ora scrivo di cose facete. E cosa c’è di più faceto dell’Università? Niente. Quindi parliamo di Università.

Domani devo recarmi in Università a cercare di risolvere il casino in cui mi trovo con le tasse arretrate. Non ho la minima idea di quello che dovrò fare, di quanto dovrò pagare, degli uffici dove andare, dell’umiliazione a cui dovrò sottopormi. Se non avessi solo la tesi ormai da scrivere e dovessi dare ancora esami, giuro che mollerei tutto.
Il punto è che tutto questo presuppone un qualcerto movimento, di testa, di gesti, e soprattutto di anche. Quindi la prima cosa su cui mi devo concentrare, è come riuscire a muovere le anche, che dovrebbe essere un impulso abbastanza istintivo, ma stranamente, quando arrivo davanti all’università, retrocedo a una fase embrianale e primitiva, così cogliona da non riuscire neanche a ricordare come si muovono le gambe nella semplice deambulazione.
Dunque, come faccio a risolverla questa cosa? E risolvere tutto il resto delle cose senza piantarmi nel bel mezzo di quell’orrido ponte, accasciarmi al suolo e restare lì, concentrando tutti i miei sforzi nel disperato tentativo di fare entrare ossigeno nei polmoni?
Non posso neanche stare attaccata al telefono con Odisseo che lui lavora domani, mica è un idioata, lui!
Qualcosa per distrarmi, che mi faccia respirare, e riprendere la marcia, piano piano, anche se so che non riuscirò a portarla a termine domani la marcia, ma almeno iniziarla… i libri!
Sì, i libri sono sempre la risposta, ma non posso camminare leggendo stile Belle de La Bella e la Bestia, cioè l’ho fatto un sacco di volte, ma domani non mi sembra il caso, voglio dire, sarò all’Università, se vedono qualcuno che legge cadono tutti come tordi stecchiti per l’anomalia della scena. Ci manca solo che mi accusino di aver causato una moria di studenti, i cervelli a cui è affidato l’avvenire della nostra patria, no no, non mi prendo anche questa responsabilità.

Ok, mi attacco all’mp3 e ciuccio musica come i sali da una flebo, come se ne andasse della mia stessa vita, ma non sono certa che la musica sia bastevole e combattere contro l’Università, forse De Andrè e Capossela i soli che possano provarci, ma se poi non funziona? Che cavolo faccio?
Mi segrego in biblioteca e non ne esco più, vivrò lì come il Barone rampante viveva sugli alberi e tutti dovranno farsene una ragione.

E se scrivessi? Anche scrivere è una cosa che funziona abbastanza, ho la Moleskine io, a che cavolo serve una Moleskine se non a pararti il culo all’Università?
Certo non posso scrivere di continuo, ma mentre sono ferma e faccio le chilometriche file, tradizionali e tipiche quanto un prodotto certificato D.O.C., posso scrivere, e posso scrivere anche sull’autobus o posso pensare a cosa scrivere e quindi…

E quindi tutto questo è molto patetico, quindi la pianto qui e vado a cercare un modo per non pensare a come non pensare domani.
La mia vita è uno spasso, dovrebbero farci su un telefilm, sfonderebbe lo share e avrebbe più stagioni del Doctor Who. Alti livelli, altissimi livelli, qui…

E’ questione di contegno. E di dosa-charme sfasciato.

Io credevo che gli atteggiamenti giusti da avere nelle varie circostanze normali, che sono solite presentarsi nella normale esistenza quotidiana di una persona nella norma, mi fossero sommariamente chiari. Intendiamoci, non parliamo di situazioni straordinarie, come scendere gli scalini dell’Ariston, sfilare sul red carpet, riportare la pace in Medio Oriente, pronunciare un discorso per il Nobel, salvare un bambino caduto in un tombino. Perchè no, in quei casi decisamente non saprei cosa fare e finirei col girare in tondo come una gattara schizofrenica, interrogando i miei gatti su quale sia la mossa giusta. E una volta ottenuta risposta, non saprei ancora cosa fare.
In realtà, tendo a non saper gestire molte situazioni, quando sono sotto stress combino guai e quando sono circondata da gente che non mi piace e non mi trovo a mio agio, sono sileziosa come una tomba, poi tiro fuori un libro dalla borsa, generalmente, e tutti mi guardano male, ecco quindi che torno a  sentirmi perfettamente a mio agio.
Se vogliamo cavillare, poi, non affronto ciò che richiede una qualcerta dose di charme, col dovuto charme, il quale viene invece investito in altre attività che di charme non ne richiederebbero punto. Ho il dosa-charme sfaciato, va bene? Ma a parte questo, il resto degli altri naturali comportamenti socio-umani, li ho ben chiari, ognuno al proprio posto, ognuno nella graticola del comportamento più consono alla data situazione.
Così credevo, almeno.
Invece pare che no, no, non è così.

Oggi per esempio, mi sono ritrovata con questa ragazza con cui eravamo solite scambiarci una fitta corrispondenza epistolare (mail, ma “epistolare” fa più scena), scomparsa da qualche mese, che non è in realtà scomparsa e basta, ma pare si sia resa protagonista di quel mezzuccio in voga negli ultimi anni, ovvero quello di bloccare una persona, da facebook, o sul cellulare o che so io, e togliersi ogni pensiero relativo, che i pensieri fanno male alla mente e all’anima. Un po’ come Ponzio Pilato: un modo tutto new age di lavarsi le mani.
Pare, dicevo, che questa ragazza mi abbia bloccata e impedito così ogni possibilità di contatto. Il punto, in questo caso, è che non c’era nessuna ragione per farlo! Nel senso che non eravamo amiche fraterne, ci sentivamo da anni, ma ci sono stati momenti in cui questa corrispondenza era venuta meno per un po’,  per poi riprendersi, non eravamo proprio pappa e ciccia, ecco.
C’era un certo tipo di amicizia e anche un certo affetto e io aspettavo che mi contattasse, addirittura sono arrivata a preoccuparmi che le fosse successo qualcosa, una stupida con tutti i crismi sono, proprio! Io non avevo neanche pensato alla possibilità che potesse aver fatto una cosa del genere, perchè non la ritenevo tipo da usare questi mezzucci e perchè francamente la situazione non lo richiedeve minimamente. Poi una mia amica che mi ha detto: “Ma guarda che se risulta così il suo account è perchè t’ha bloccata“. E’ andata a controllare lei ed effettivamente è così.
E io mi chiedo che cosa può spingere una persona adulta e non una dodicenne/sedicenne, a comportarsi così. Sono andata a pensare che potessi in qualche modo averla offesa, osteggiata, annoiata, ma davvero non so come avrei potuto farlo. Anzi il suo ultimo messaggio era stato “Va’, torno a casa, ceno e poi ti rispondo alla lettera tua di ieri, che è meglio“, perchè mi aveva raccontato di una pessima giornata. Figurati se andavo a pensare che mi avesse bloccata! Un’unica ragione plausibile a spingerla a fare una cosa del genere ci sarebbe, ma è talmente stupida, talmente patetica, talmente ridicola, che mi rifiuto anche solo di considerarla e scriverla qui.
Cosa ho fatto, quindi?
Le ho mandato una mail tramite l’account di questa amica, ma non per ricontattarla, solo per salutarla e dirle che mi spiace se l’ho offesa in qualche modo, che non era certo mia intenzione, che non ho comunque niente contro di lei e le auguro ogni bene e che anche se mi dispiace, va bene, non proverò a contattarla più e ciao bella ciao.
Ma non ho la pretesa che questo fosse il comportamento corretto, per carità! Quel che serve qui è contegno, signori. E il contegno giusto in questo caso sapete qual è?
Fotternese.
Hai avuto la fortuna di stabilire una relazione un tantinino più profonda di quelle che hai con la Compagnia del muretto? Alzati domani mattina e interrompila, così, senza ragione, da un momento all’altro, relazioni profonde, pfffffff che ti servono? Mangiati un pacco di patatine e sei apposto.
Hai un amico con cui giochi a freccette da anni e gli vuoi tanto bene perchè nessuno sa rendere il gioco delle freccette bello quanto ti capita quando sei con lui? Decidi che non ti piacciono le freccette e molla anche l’amico già che ci sei, che tanto puoi giocare all’allegro hippo hippo, vuoi che non trovi un amico nuovo di zecca che giochi all’allegro hippo hippo con te? Non conta con chi giochi, conta che giochi.
Sei innamorata davvero di qualcuno, ma le cose sono complicate come è di regola in amore? Non cercare di lottare per lui, no, mica vuoi essere una che lotta, no?! Chi te lo fa fare, quando puoi mollare tutto e scegliere quell’altro che ti capita a tiro? Che poi magari quello che lasci andare potrebbe essere il grande amore della tua vita, ma non lo vivrai mai perchè lottare no, no, non è il contegno giusto.

Forse un giorno capirò cosa le persone si aspettano da me, forse. Fino ad allora persevererò nel contegno sbagliato e continuerò a farmi male.
Soprattutto di Venerdì 17, perchè oggi è venerdì 17, che mi pare una notizia fondamentale, quindi in qualche modo dovevo ficcarla in questo post. Ed ecco che l’ho ficcata.

Dorothy Parker sta morendo

La mia tartarughina non si muove quasi più ormai e non mangia da giorni.
Non vederla zampettare furiosamente e alzare la testina con gli occhini neri neri brillanti ogni volta che mi avvicino, è di una tristezza assurda.
Ce l’ho messa tutta: ho chiesto pareri ad esperti, ho preso un termometro per misurare la temperatura dell’acqua che i rettili non producono calore e l’acqua deve essere ta i 15 e 28 gradi, le ho dato le vitamine, ho scelto il cibo migliore e più fresco possobile da intervallare al mangime per tartarughe, ma niente è servito.
Ha iniziato a cercar aria allungando la testa e starnutiva sempre e questo è sintomo di raffreddore se non polmonite. Qui nel Burundi non ci sono veterinari per rettili e comunque non resisterà fino a domani.
Devo aver fatto qualcosa di sbagliato all’inizio, ma era così viva, così bella che non ho pensato alla morte per un secondo. E invece le cose vive e belle muoiono sempre, anzi muoiono presto.
Forse le ho messo acqua troppo fredda, forse non l’ho tenuta abbastanza al sole, le ho cambiato spesso l’acqua, le ho dato da mangiare troppo o qualcosa di sbagliato.
Neanche dieci giorni interi sono riuscita a farla star bene.

Ormai credo manchi poco. Non so più che fare, sono completamente inutile. Posso solo stare seduta vicino a lei e parlare, forse si sentirà un po’ meno sola mentre se ne va.

All’università del terrore

E’ un’ora che sto davanto alla pagina bianca e cicischio. Bevo un po’ di caffè, sfoglio i quotidiani on line e “l’habetis papam” è la notizia del giorno anche sul mio amato New yorker quindi chiudo anche la pagina del mio amato New yorker e risposto un po’ il cursore sulla pagina bianca di WordPress, ma poi mi butto su qualche recensione letteraria scritta da un paio di “lettrici” che conosco, così tanto per farmi molto, molto male, perchè tra quelle che conosco le “lettrici” in questione … be’ diciamo che non la pensano come me e soprattutto non la scrivono come me. Diciamo.
Prima o poi finirò questo caffè, prima o poi finirò le pagine che conosco su cui cincischiare e comincerò a scrivere del mio rapporto con l’università. Prima o poi devo farlo. E prima o poi è oggi.

Ancora no. Tra un po’…

Diamoci un taglio.
Ho quasi trent’anni, non serve Sherlock ( parlo di Sherlock il mio amato, quello del telefilm, non tanto quello dei romanzi di Doyle) per capire che sono molto in ritardo con l’università e che quindi qualche problema di fondo c’è. Perchè anche se avessi un QI inferiore alla media, una cavolo di triennale l’avrei arraffata per quanto difficile e scadente sia la mia, ma diciamocelo, si laureano cani e porci (intellettivamente parlando), anzi sembra che questi riescano a salire la china universitaria più facilmente che altri.
Quindi il problema c’è e persiste nella mia vita a prescindere dall’università che ne è stata investita e forse l’ha reso particolarmente manifesto.
Inutile, nessuno lo capisce. Gli altri non capiscono e sottolineo “gli altri” con l’intento sfacciato di conferir loro le sfumature tremebonde e misteriose dei “cattivi” di Lost.
Gli altri sono tutti, tutti quelli che NON hanno avuto, per un motivo o per un altro, un tremendo blocco nella propria vita e che questo abbia coinvolto l’università.
Gli altri sono le frasi fatte sciorinate a iosa sulla questione, – mamma quante ne ho sentite! – e sempre dalla stessa gente, gente che la questione non è in grado di sfaccettarla nè di discettarci sopra. Questioni come “non studia”, “perde tempo”, “si trastulla”, “e che ci vuole a finire”, “ma che ci vuole”, “ma pensa a tua madre”, “ma non ti vergogni”.
Chiunque affronti la cosa da questi punti di vista beceri e populisti, non ha capito niente.
Certo che mi vergogno, mi dilanio continuamente per non essere riuscita a sedermi agli esami nonostante avessi studiato, per essermi chiusa un anno in casa a ingrassare come una scrofa nel vero senso della parola perchè mi rigiravo tra i miei peccati e le mie mancanze, per non riuscire ad affrontare la cosa, per essere sottoposta continuamente a una sfilza di proioettili di pareri sull’università che mi hanno pian piano dissanguata e uccisa, per essere arrivata al punto di non riuscire ad accedere alla segreteria studenti e scaricare la domanda di fine corso perchè non riesco a respirare se lo faccio.
Che diavolo vi credete, imbecilli, che non sia stanca e che non sia un chiodo fisso per me? Che non mi faccia sentire una merda anche se “lo diaciamo per il tuo bene”?
Che non ci sia un blocco se sono dieci anni che sto qua?

Quando mi iscrissi dovevo andare a Roma, ma mio zio mi disse “E che fai? lasci tua madre da sola?” e allora rimasi qua, e lo sapevo che era un errore, ma ero buona, ero tenera, volevo FARE LA COSA GIUSTA. Peccato che non era la cosa giusta PER ME, ma non è mai importato a nessuno quale fosse la cosa giusta per me.
Io ci sto provando a spiegare perchè sono bloccata con l’università, perchè ho attacchi di panico ogni volta che apro un libro, perchè non ho smesso o cambiato facoltà, ma non ci riesco. Non riesco a spiegare perchè l’ultimo esame l’ho dato dopo 6 volte che ci andavo senza riuscire a farlo, nè perchè mi fa stare tanto male quel sistema. Non riesco. O meglio lo so perchè, ma descriverlo è impossibile.

Io ho perso mio papà quando avevo 9 anni. Questa non è la giustificazione a tutti i miei guai e le mie manchevolezze, ma ho studiato abbastanza psicologia per sapere che se eventi drammatici colpiscono i bambini in certi momenti delicati dello sviluppo – che non a caso si chiamano “fasi critiche” – e le situazioni di stallo non vengono espletate e riprese dagli adulti, permettendo così al bambino di risolverle, queste diventano cancerose per lo sviluppo naturale, affettivo e sociale, favorendo l’insorgere di disturbi della personalità, dell’alimentazione, insicurezza e senso di inadeguatezza ecc ecc…
Sono stata da una psicologa e non ho risolto molto, ma mi ha chiarito alcuni stalli della mia vita, che comunque non sono il tema di questo post quindi la smetto.

Martedì sono dovuta salire in biblioteca per rinnovare il prestito dei libri che mi servirebbero per la tesi (ferma da mesi).
In ogni punto, a ogni passo, in ogni momento o settore del campus, faticavo a reggermi in piedi e l’unico chiodo fisso era correre, scappare, cercare un posto dove respirare.
Mi sono trovata impantanata di nuovo in tutte quelle situazioni che ho vissuto un sacco di volte quando frequentavo le lezioni, l’isolamente, vedere gli altri sereni e perfettamente consci di quello che stanno facendo, di quanto siano GIUSTI e io SBAGLIATA in confronto per non essere così liscia come l’acqua di un torrente che segue il percorso stabilito. Se guardo a quel periodo, mi rivedo davanti al mio scaffale di narrativa preferito in biblioteca, uno dei pochi posti in cui scordavo tutto e respiravo.
Ecco perchè mi sono fiondata lì, martedì, sotto una gelida pioggia-neve, rischiando di rompermi il collo correndo pergli scalini gelati, ho superato tre biblioteche per raggiungere quella più in alto, dove c’è il mio scaffale., ho buttato l’ombrello in un angolo, ho chouso la borsa nell’armadietto e ho percorso con una fretta angosciosa scaffali e banconi, stidenti e labirinti di libri, per arrivare a quell’angolo isolato nella biblioteca di economia (eh sì, il mio scaffale preferito non è nella Biblioteca umnaistica, piena di narratva, pensa un po’) che ospita la Narrativa contemporanea.
E sì, una volta lì, ho respirato di nuovo.

 

“Ti devi solo vergognare” ma però

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Ma però sono riuscita ad alzarmi alle 6.00, con tutto l’esoso peso della mia vergogna, la mattonella di cemento che persiste per cielo di cui sopra avete uno stralcio, e andare a correre dopo la disastrosa giornata di ieri. In cui non solo non ho corso, ma sono andata a dilaiarmi all’università, per poi tornare a casa ed essere ancora un tantino rosicchiata e scorticata dalla mia cara progenitrice. Eh sì sì, le conosco già tutte quelle frasette che inneggiano all’amore nei confornti della madre semper et in omne tempus, ma questa è una cronaca e tale è, posso farci ben poco e lo farei se potessi, credetemi.
La corsa non solo prosegue ma oggi sono anche riuscita a incrementare un tantino la durata che da 12 minuti di corsa è slittata a 17 minuti (no dico, diciassette minuti!), sempre intervallati dai due minuti di camminata, però.
Ma c’è di più: sono riuscita a raggiungere la seconda fase del percorso che sto seguendo che prevede due minuti di corsa e due minuti di camminata per sei volte e oggi l’ho fatto per la prima volta e ci sono riuscita! E poi per recuperare la mancata corsa di ieri, sostituita fa flagellamento mono e plurimo, ho corso qualche minuto in più (sempre intervallati) e sono arrivata a 17 minuti!
Ok, qualcuno dirà: capirai! E mi trova d’accordo sul “capirai”, in realtà non è niente di che davvero. Ma considerato che all’inizio della settimana scorsa non potevo correre un minuto senza sputare un polmone e farmi venire una sincope al cuore, per me è davvero tanto e mi fa ben sperare per il futuro, magari riuscirò a correre di più e a dimagrire.
Sì perchè, presa dall’entusiasmo mi sono pesata, rompendo la promessa di farlo solo la domenica e non solo il peso non scende, ma pare addirittura salito. Posso solo sperare che non sia una buona idea pesarsi subito dopo la corsa, forse i muscoli sono in pompa e quindi più grossi o forse mi sono riempita di acqua per reintegrare i liquidi persi, o che diamine ne so, ma spero sia così sennò tutto questo entusiasmo andràa  catafottersi ben presto.

Quindi no, non è che io smetta di vergognarmi, non sia mai, ma il fatto che stia agendo, anche se non un campo apparentemente non collegato all’univerasità che è quello dell’attività fisica e del desiderio di dimagrire, è tantissimo per me. Fiono a qualche mese fa la mia reazione sarebbe stata di pianti inconsolabili, di ansia e oppressione ancor più dilanianti dei precedenti attacchi, di fughe al supermercato e al McDonalds per riempire la borsa di schifezze, di porte sprangate e luci soffuse nella stanza, di film e telefilm scaricati e di me che mi abbuffo fino a vomitare. Andare a correre, per quanto non si sa ancora se serva o meno, è una reazione decisamente meno deleteria, tutt’altro direi.
Forse Paolo fox non si è bevuto del tutto il cervello visto che mi ha messo al primo posto questa settimana e fino a oggi è stata invece un tormento. Magari ci riprendiamo, siamo solo a mercoledì dopotutto,magari combinerò qualcosa. Per ora tutto quello che desidero fare è aspettare che l’umore del mio mare scemi da “incazzato nero” a “leggermente incaponito” e possa così spaparanzarmi sulla spiaggia con una caterva di libri da leggere, la mia moleskine metti che mi viene voglia di scrivere e un bidonata di caffè e cappuccini nelle confezioni americane. Tutto molto poco produttivo, ma almeno reingrano con la lettura.

Ora volevo soffermarmi ancora un po’ per parlare della mia situazione universitaria, ma un’ambulanza si è appena fermata davanti al mio palazzo, quindi corro a vedere che succede e incrocio le dita che non succeda niente.

Cime tempestose e canne al vento per le cronache marziane

Io ho da sempre avuto un vizio, quello di trasfigurare ogni sensazione, ogni contesto, ogni avvenimento, in termini letterari e trasfomarlo nella cornice di una storia o nella storia stessa. Tipo un filtro che volente o nolente, si mette in moto e mi plasma la realtà. Causa ne è sicuramente quella religione sana/insana che è la bibliomania: in pratica sono buona a null’altro, il che è sinonimo di disgrazie tanto quanto di rassegnate euforie.
Ecco quindi che iniziare a scrivere oggi le mie cronache marziane – e mi perdonerà Bradbury se gli scippo il titolo del libro e ne riciclo il senso in termini mensili – il giorno dopo il mio tragico febbraio di studio e ansie e concorsi, in questa cornice di bufere, strade che sono fiumi in piena, cime sferzate dalla tempesta e canne che volano nel vento, ha nel suo perchè, un che di letterario, un sapore di libri e inchiostro che se sei me, o se sei pazzo e libromaniaco come me dall’età di 6 anni, non può sfuggirti.
Tutta questa tiritera poeto-maniaca, solo per dirvi che piove e ulula da ieri sera, ininterrottamente e che questa è la cornice da cui scrivo. Detto ciò, iniziamo.

Il primo esame è stato il 28 e non è andato male. Neanche è andato bene. Però è andato.
Ci sono arrivata dopo una notte insonne (di cui scandisco le ore qui: https://webcamaccesa.wordpress.com/2013/02/28/donna-che-scandisce-il-tempo/) e ci sono andata con una signora che ho conosciuto alla prima fase col concorso e altre sue due affiliate. Ed è bastato che fiatassero in quell’auto mezza votla, alle gelide 6.00 di un gelido ultimo giorno di febbraio, per capire che di possibilità di riuscita in questo concorso ne ho neanche mezza, seppur dopo tanta fatica e sbattimenti che hanno coinvolto anche quei poveri Cristi che hanno la premura di leggere le mie lagne.
In pratica tutte loro (più tanti altri ho avuto modo di appurare poi, in loco) si sono fatti preparare da una direttrice o una professoressa per affrontare il concorso. Cioè queste tipe hanno selezionato loro cosa dovevano studiare, hanno scritto loro dei temini belli che pronti da imparare sugli argomenti giusti e più quotati nell’ambiente, nell’esatto modo in cui le domande andavano affrontate.
E così mi sono spiegata un sacco di cose, tra cui come fare effettivamente a studiare quella roba e perchè abbia avuto così tanti problemi a portare a termine un programma tanto vasto e sfaccettato tutta sola. E lo dico qui semmai qualcuno passasse e gli servisse, che per un concorso SERVE UNA LINEA GUIDA, che sappia muoversi all’interno dell’ambiente del concorso, che ne abbia già fatti, che sappia cosa ci si aspetta, che proponga argomenti papabili e le soluzioni di queste da esporre nelle tracce come richiesto. Che detto in soldoni è: qualcuno ha scritto loro gli argomenti giusti e il modo in cui vanno trattati e loro se li sono copiati o imparati a memoria così com’erano e così com’erano li hanno poi usati. Il tutto per la modica somma di 1.000, 1200 euro per un mese di lezione! Hai capito tu come ci speculano sopra ‘sti qua?!
Hanno fatto bene: hanno tirato fuori queste benne tesine svolte ad arte dalle professoresse in questione, e da queste hanno bellamenete… mmhh come dire… attinto idee e forme semantiche.
Allora, io non mi sto giustificando, ma se io ho portato a termine uno dei due concorsi (l’altro è stato un emerito disastro) è solo grazie alle mie forze. Alla cara Calipso nessuno ha scritto le domande nè ha insegnato niente per milleduecentoeuro, nè ha dato la minima indicazione sulle cose da studiare che mica dovevano essere quelle del libro, INUTILI!
Ho portato a termine il primo concorso rispondendo a tutto, ma non perchè conoscessi le risposte o perchè tutto quello studio matto&disperato effettivemante sia servito a qualcosa (sul programma c’era poco meno di niente, fanculo al programma ministeriale), ma solo perchè ho dato fondo a un po’ di buon senso e a una certa dose di creatività. E infatti le tipe dotate di “tesine e insegnamenti della prof.”  non sono riuscite a fare molto perchè le domande erano difficilmente inquadrabili.
Questo non vuol dire che io lo superi o che il concorso per me sia stato meno che un disastro, ma comunque ho risposto e concluso ogni domanda e sarò una schiappa, avrò preparato male un concorso nazionale, ma almeno non mi sono fatta scrivere il temino dalla prof.  per 1.200 euro o ho sgradevolmente copiato dai “pizzini” messi nel vocabolario.

Il secondo giorno di concorso è invece stato un disastro fatto e finito. Questa volta i temini sono serviti alle tipe e infatti hanno tutti copiato tutto, senza vergogna, e io me la sono presa elegantemente in quel posto.
Vedere tutti scrivere per due ore e mezza mi ha fatto sentire un’inetta troglodita che ha perso quella che potrebbe essere l’occasione della sua vita, e che a detta della sua cara madre ha sbagliato a non chiedere aiuto e capire come prepararsi prima. Ma la cara madre tende a gettar sterco a prescindere, su tutto ciò che fa la Calipso qui presente, e non sa che quelle tipe sapevano cosa aspettarsi perchè hanno fatto concorsi in passato o perchè, è il caso di una di loro, ha la madre che lavora nel campo che le ha dato tutte le dritte necessarie.
Ma bando alle lamentele non sono qui per quelle, solo per riportare quello che io facevo mentre tutti intorno a me rispondevano diligentemente alle domande del concorso, competenti e preparati loro altro che me.

Io ho scritto.
Non le domande, ma una specie di “coso” inutile che mi è venuto in mente, per far passare il tempo durante quelle orride due ore.
Ecco che torna la modulazione della vita di una letteratura-dipendente: tutti vivono e lavorano sodo e tu? Tu non fai un cazzo, li guardi e trasformi la tua vita in letteratura per autocompensazione.
Questo il “coso” quando non sono stata in grado di adempiere alle attese:

“Le persone scrivevano e il fruscio delle loro penne si mangiava il tempo con lentezza ammorbante. La sua di penna, il tempo se lo sarebbe divorato, e invece se ne stava lì, inerme sul foglio come il moncherino di un reduce di guerra, uno di quelli sconfitti a bordo pista, a guardare sfilare i vittoriosi in Terra Santa.
Se Bianca amava qualcosa, era proprio il fruscio della penna quando traccia parole furiose.
Se Bianca odiava qualcosa, era proprio il bianco del foglio quando era spurio da ogni segno.
Non poter sentire il fruscio della sua penna, ma vedere il bianco del suo foglio, era quindi per lei pari al ricevere una frustata sul visto, scoccata da un centauro incazzato e nerboruto.
Le piaceva la penna perchè colmava lo smunto candore dei fogli, li violentava senza alcuna pietà, con tanti saluti al vuoto che il bianco esigeva. Bianca aspettava che qualcuno arrivasse a imbrattare il suo bianco con la stessa ferocia di una penna sul foglio, mentre le penne degli altri si mangiavano il tempo con lentezza ammorbante.
Sì, la sua di penna, il tempo se lo sarebbe divorato
.”

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